Nel lontano 2009, sotto la direzione generale di Mauro Masi, Viale Mazzini fece due clamorosi errori: rifiutò la ricca offerta di Sky (da 350 milioni di euro per 7 anni) per continuare a trasmettere sulla sua piattaforma satellitare i canali di Rai Sat, e iniziò anche a criptare sempre su Sky (come fece Mediaset) parte della programmazione delle tre reti generaliste, per portare i propri abbonati sulla piattaforma alternativa Tivù Sat (costituita da Rai, Mediaset e La7), con l’obbligo di acquisto di un nuovo decoder satellitare.
La prima decisione della tv di Stato fu propriamente anti-economica e danneggiò le casse della Rai. La seconda (che deriva direttamente dalla prima) è stata inoltre dichiarata illegittima dal Tar del Lazio nel luglio scorso, che ha accolto il ricorso di Sky. Il tribunale amministrativo annullò la delibera dell’Agcom, che dava il via libera all’oscuramento di parti di palinsesto, “in quanto non aveva accertato le gravi violazioni degli obblighi di servizio pubblico” previsti nel contratto di servizio.
In seguito alla batosta, Viale Mazzini ha sospeso la distribuzione singola delle smart card Tivù Sat, e ha deciso di fare i conti e verificare quanti sono realmente gli abbonati Sky che seguono i canali pubblici. Una vecchia e obsoleta legge del 1938 (R.D.L.21/02/1938 n.246), chiamata canone Rai, impone agli italiani che posseggono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione della tv pubblica di pagare il canone Rai. Trattandosi di un’imposta sulla detenzione dell’apparecchio, il canone deve essere pagato indipendentemente dall’uso del televisore o dalla scelta delle emittenti televisive. E vista da questa prospettiva anche gli abbonati Sky che ricevono i programmi Rai dovrebbero pagarlo.
Ma quanti sono gli abbonati a Sky (in tutto circa 4.800.000) che pagano ciò che devono alla tv satellitare di Murdoch e invece non versano il canone a Viale Mazzini? Per scoprirlo l’ufficio legale Rai ha approntato uno studio (chiamato in codice a Viale Mazzini «Skyfall», nemmeno tanto ironicamente) che prevede il coinvolgimento dell’Agenzia delle Entrate. La quale riceverebbe un invito molto chiaro da parte della tv pubblica: sovrapporre gli elenchi di chi paga per Sky a quelli che versano la loro quota per la Rai e individuare gli evasori. Non sarebbe in questo caso una pratica banale perché, trattandosi dell’Agenzia delle Entrate e di fatto di una tassa, scatterebbe un accertamento fiscale. Pratica assai temibile per molti italiani.
Non solo. Anche l’obbligo sancito dal contratto di servizio di promuovere la piattaforma Tivùsat è stato contestato dal Tar del Lazio e definito «un aiuto di Stato illegittimo che genera una distorsione della concorrenza a beneficio degli azionisti di Tivùsat» e un vantaggio «di rilevanza economica nei confronti di soggetti terzi rispetto al concessionario pubblico», cioè appunto Mediaset e La7.
Secondo l’ufficio legale della Rai, che ha presentato un ricorso al Consiglio di Stato (l’udienza è già stata fissata per febbraio) stando alla normativa in vigore, la cessione gratuita riguarda solo gli utenti in regola col canone di Viale Mazzini. Bisognerà ora vedere sia le reazioni ulteriori di Sky sia l’esame della sentenza del Tar da parte del Consiglio di Stato. Una cosa è però sicura. La Rai diretta da Luigi Gubitosi sembra aver dichiarato molto seriamente guerra all’evasione del canone, ormai prossima ai 560 milioni annui, con una media del 20% di evasori nazionali e punte anche superiori al 40% nel Sud. Uno dei campi di battaglia sarà il satellite di Sky con quasi 4.800.000 abbonati.
Fonti: il Corriere della Sera | Il Fatto Quotidiano | La Repubblica
Tivù risponde al Corriere della Sera in merito alla sentenza del Tar
Con riferimento all’articolo «Canali in chiaro. I giudici con Sky» (Corriere di venerdì) si segnala che, a differenza di quanto asserito, la costituzione di Tivù quale strumento di cooperazione tecnica tra imprese e, in tale ambito, il progetto satellitare TivùSat non sono stati affatto censurati dal Tar. Al contrario, le contestazioni su questo punto sono state respinte, con piena soddisfazione di Tivù stessa. D’altronde, anche la Commissione europea, sollecitata sul tema, non ha sollevato alcun rilievo al riguardo. Quanto alla censura degli «aiuti di Stato», la sentenza si riferisce a un profilo molto specifico e cioè a talune iniziative promozionali previste dal Contratto di servizio tra Rai e ministero la principale delle quali, per altro attuate su prescrizione di Agcom. Unicamente con rispetto a questo specifico punto della sentenza, per il resto come detto pienamente soddisfacente per Tivù, si è ritenuto di presentare appello al Consiglio di Stato.
Tullio Camiglieri
Responsabile Ufficio Stampa Tivù Srl