«Nessuno ci ha chiesto nulla, non c’è nessuna trattativa». Così il vice direttore generale della Rai, Antonio Marano, nel corso della conferenza stampa del 65° Prix Italia di Torino, risponde sulle indiscrezioni che circolano riguardo a un’ipotetica richiesta di circa 200 milioni di euro da parte della UEFA per consentire alla Rai la trasmissione delle partite di calcio della Nazionale nel quadriennio 2015-2018.
La notizia, diffusa a fine agosto dal quotidiano La Repubblica, ipotizza che Viale Mazzini rischia di perdere dal 2015 l’esclusiva sui diritti tv delle partite degli azzurri, perchè l’UEFA ha affidato la vendita degli stessi diritti audiovisivi della Nazionale italiana alla CAA (Creative Artist Agency) di Los Angeles, che, sempre secondo le indiscrezioni, chiederebbe ben 200 milioni per il prossimo quadriennio, il doppio di quello che vorrebbe spendere la Rai. «E’ giusto che la Rai investa in questo settore, – continua Marano – ma servirebbe che il sistema politico, nazionale e internazionale tutelasse meglio il valore dello sport. Non c’è nè richiesta nè trattativa», ha ribadito Marano.
Marano ha inoltre illustrato le nuove strategie dell’azienda tv pubblica per il prossimo futuro: «Bisogna che tutto il contesto artistico comprenda che non ci possono essere cachet come una volta». Un’azienda «che non ha deficit editoriali, che ha offerta tra le più forti, ascolti più alti ispetto ai concorrenti. Abbiamo però – spiega Marano – una visione carente della strategia del sistema universale. Se siamo servizio pubblico non possiamo costringere i giovani che vanno sul web a venire in tv, dobbiamo essere noi ad andare sul web. E’ un problema che hanno tutti i media», ha sottolineato il vicedirettore generale.
«Qual è la visione strategica? 30 anni fa – aggiunge – il primato era del canale. Oggi chi ha il contenuto detiene il primato rispetto alla tecnologia trasmissiva. Occorre una visione stragegica dei modelli produttivi. Nel ’93 c’erano 11 canali nazionali, nel 2003 ce n’erano 60, nel 2013 sono 235. La Rai certamente è stata brava a pensare al passaggio dall’analogico al digitale con quel numero di canali, ma la tematizzazione dei canali porta a una loro maggiore frammentazione. Molti non sono piu’ solo televisivi, ma sono evoluti anche su piattaforme diverse dalla tv. Cosa che hanno fatto anche i grandi editori di carta stampata». Il mezzo televisivo è oggi di fronte a un nuovo bivio strategico dopo quello che ha portato dall’analogico al digitale con la dittatura del telecomando: «Siamo passati da monotematicità al telecomando, oggi passiamo da telecomando a clic, interattivo, da prime time a my time, il tempo gestito dallo spettatore».
«La crisi dei talk show c’è perchè la quantità crea disaffezione, come è successo per i reality. I conduttori sono sempre gli stessi, cambiano giacca e cravatta, ma lo spettatore, una volta che ha saputo che c’è la crisi, una volta che ha sentito quel commento, non è che cambia dalla mattina alla sera…». Marano ricorda che la Rai due anni fa analizzò tutto il suo modello informativo, anche in rapporto alle tv di servizio pubblico concorrenti che hanno anche una testata all news. «Le tre testate Rai con l’aggiunta della rete all news coprono il 90% dell’informazione, la BBC solo il 30%. Cosa possono dire? La crisi è questa».
Marano fa notare infine che c’è un «calo sostanziale di ascolti in tv» e questo aspetto diventa evidente guardando la voce ‘altre‘ nelle curve d’ascolto dell’Auditel che «è diventata predominante soprattutto in seconda serata. Questo vuol dire che il telespettatore si fa il proprio palinsesto. La logica della veicolazione di un prodotto quindi – conclude – non può essere vincolata da un modello pregresso».
Fonti: kataweb.it | internazionale.it | Adnkronos | it.notizie.yahoo.com