L’azienda: quotare parte di Rai Way per raccogliere i 150 milioni di tagli imposti dal DL Irpef.
Il cda della Rai (dopo un’apparente resistenza) ha ceduto di schianto alle disposizioni dei tagli emanate del governo, e ha dato mandato al direttore generale, Luigi Gubitosi, di ridefinire il piano industriale dell’azienda per avviare le procedure propedeutiche alla vendita di una quota minoritaria di Rai Way.
Per fare a meno dei 150 milioni di euro della spending review, secondo le indicazioni del decreto legge Irpef del 24 aprile 2014 n.66 Art. 21 (Disposizioni concernenti Rai S.p.A.), Viale Mazzini è pronta a vendere una parte delle torri di broadcasting che diffondono i segnali tv in tutta la nazione. Scartata quindi l’ipotesi di impugnare il decreto, anche se resta una via praticabile. Il nuovo Piano Industriale sarà presentato al cda prevedibilmente entro 6/8 settimane.
Ma la “svendita” delle antenne, dicono alcuni consiglieri del Cda, non basterà a salvare il bilancio della tv pubblica. Servono altri tagli, e quello di Rai Way potrebbe realisticamente danneggiare i conti dell’azienda del servizio pubblico televisivo. I consiglieri Verro e Rositani sono già in trincea: annunciano ricorsi contro quello che ritengono un prelievo incostituzionale, e ammoniscono che così facendo, la Rai finirà in ginocchio.
La cessione di Rai Way è inoltre difficile da mettere in pratica, scrive Paolo Festuccia su La Stampa. Vendere ora Rai Way, così di corsa, con un mercato complicato come l’attuale (con un’asta frequenze tv con il solo Cairo partecipante, con la procedura di infrazione Ue che pende ancora sullo Stato, e con le torri di Telecom Italia Media in vendita), può significare svenderla. L’ipotesi di portare in Borsa la società dei ponti e delle trasmissioni pare più concreta, sul modello di quanto fatto dal concorrente Mediaset con l’ex Elettronica Industriale che ha assorbito DMT ed è finita sul mercato col nome di EI Towers.
Nel 2001, l’ex ministro Gasparri (quello della famigerata legge che provocò la procedura di infrazione europea per scarsa concorrenza nel mercato tv italiano) bloccò la cessione del 49% della società alla americana Crown Castle, che fece un’offerta da 410 milioni per gestire una quota di minoranza di Rai Way. Allora si puntava ad aumentare il valore dell’asset della tv pubblica. Ma non se ne fece nulla.
Rai Way, con le sue 23 sedi operative, le sue 2300 postazioni e 1800 strutture, e i suoi 600 ingegneri, potrebbe valere oggi tra i 500 e i 600 milioni. Vendere il 40% significherebbe portare a casa 200 milioni, ma i tempi dell’operazione paiono troppo brevi. Anche perché si ragiona al settimo piano della tv pubblica, «se tu quoti e vendi agisci direttamente sul patrimonio, dopodiché per far fronte al prelievo bisogna intervenire sul conto economico perché diversamente non starebbe in piedi».
Per questo si temono tagli dalle produzioni al personale. E nel mirino, finiscono, così, le grandi aree di spesa aziendali: dalle sedi regionali, al personale che vale tra gli 800 e i 900 milioni di euro, ma anche la fiction (200 milioni di euro di investimenti l’anno) e il cinema (60 milioni di euro l’anno).
Per il segretario dell’Usigrai, Vittorio Di Trapani, è una situazione inaccettabile. «Avevamo chiesto all’azienda – spiega – di assumere decisioni formali contro il decreto del governo che taglia 150 milioni di euro alla Rai Servizio Pubblico. Si annunciano ora la vendita di Rai Way e un nuovo Piano industriale: i vertici aziendali si assumono dunque la grave responsabilità di una scelta strategicamente errata, e che se dovesse avvenire sotto il diktat dei “soldi da trovare” diventerebbe di fatto una svendita».
Fonti: La Stampa | Il Messaggero | La Repubblica