Da un’intervista di Luca Landò su L’Unità del 04/04/2011:
«La rete sta diventando la chiave per difendere e allargare la democrazia: non lo dice un povero docente americano, lo dicono i fatti». Il povero docente, si chiama Lawrence Lessig, insegna ad Harvard e a Stanford e sarà il 16 aprile a Torino, ospite della Biennale della Democrazia. I fatti sono quelli del Nord Africa che «hanno mostrato a tutti come internet possa influenzare le dinamiche politiche e sociali di un Paese, anzi di tutti i Paesi».
Non è una frase impegnativa?
«Niente affatto: Internet sta dando alla gente la consapevolezza che, come cittadini, possono avere un ruolo diretto nel favorire i cambiamenti democratici. Da questo punto di vista la rete rappresenta uno sviluppo politico e sociale estremamente importante».
Non è stata data troppa enfasi al ruolo di Internet nelle rivolte in Egitto e Tunisia?
«No, la rete è stata davvero un elemento chiave. Ovviamente ci sono state e ci sono molte differenze da paese a paese. Il punto è che oggi esiste un’alternativa al modo tradizionale di intendere la politica internazionale».In che senso?
«Da una parte c’è il “metodo Bush”: dici di voler esportare la democrazia e scateni una guerra costata migliaia di miliardi che nessuno, ancora oggi, sente di poter definire un successo. Dall’altra hai un Julian Assange che immette documenti nella rete e scatena ogni sorta di reazione in giro per il mondo. La trasparenza è assai più efficace della guerra per esportare la democrazia».Però la rete può essere controllata oaddirittura spenta. Lo ha fatto Mubarak, lo fa la Cina…
«La libertà di internet in un paese dipende dal grado di diffusione della sua rete. Quello che abbiamo visto in Egitto, ma che vediamo di frequente in Cina o in Iran, è dovuto al fatto che la rete funziona solo grazie a pochi network controllati dal governo. Più aumentano i network e meno facile è il controllo. La libera concorrenza è un fattore fondamentale per la libertà della rete».È ipotizzabile un mondo senza più digital divide?
«Non credo, anche in futuro avremo enormi diseguaglianze nell’accesso alla rete. Se però guardo a com’era la situazione dieci anni fa, vedo progressi enormi. Il tipo di accesso che la gente ha nel Medio Oriente è ridicolo se paragonato a quella che la gente ha in Francia, in Inghilterra o nelle parti più avanzate degli Stati Uniti. Nonostante questo, sono stati capaci di spingere decine di migliaia di persone a scendere in piazza. Anche una scarsa diffusione di internet può convincerti a pretendere migliori condizioni di vita».I social network stanno cambiando il concetto di comunicazione di massa?
«Il termine mass media va aggiornato. Oggi settori sempre più ampi di persone possono mettersi in collegamento con settori altrettanto ampi di altre persone. Sta cambiando il concetto di comunicazione mediatica: prima si ascoltava, oggi si parla; prima si subiva, oggi si agisce. Internet moltiplica all’ennesima potenza il concetto di libertà di scelta. E sono io che decido».Esiste un conflitto di interessi tra tv e internet?
«Sono due mondi destinati a entrare in collisione. In Italia, in particolare, esiste un conflitto di interessi tra come è impostato l’attuale business televisivo e le esigenze di sviluppo e crescita di internet. Da una parte c’è un modello che massimizza i profitti portando pochi programmi a tantissime persone, dall’altra c’è internet che fa esattamente l’opposto: tantissime proposte a ogni singola persona. Non mi sorprende che nei Paesi dove poche mani controllano la tv, internet sia cresciuto lentamente. Temo che in Italia siate in questa situazione».
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