Macché terzo polo, la vera sfida della televisione è la tutela dei propri contenuti dagli “attacchi” di Internet. A pensarla così sono operatori tv e rappresentanti delle Authority per le comunicazioni che si sono confrontati nel corso dell’incontro-dibattito «Quo vadis, Tv? Storia e attualità del terzo polo televisivo in Italia», organizzato martedì scorso da I-Com, Istituto per la competitività presieduto da Stefano da Empoli e in occasione del quale è stato presentato il libro di Giovanni Gangemi, L’Anello debole. Storia dell’al- tra tv, da Marinho a Murdoch.
Secondo il vicepresidente e amministratore delegato di Telecom Italia Media (l’editore di La7 e Mtv), Giovanni Stella, infatti, «nella rete è invalsa l’abitudine che si possano prendere contenuti senza pagare niente. È assurdo pensare di fare investimenti senza che ci sia alcuna protezione». Dello stesso avviso anche Andrea Ambrogetti, presidente di DGTVi (l’associazione per lo sviluppo del digitale terrestre costituita da Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, Dfree e Frt): «Le istituzioni e i broadcaster devono difendere gli operatori nazionali che producono contenuti oggi sfruttati commercialmente da Google e Yahoo! e in base ai quali raccolgono pubblicità. Serve però l’accordo di tutti».
Anche per il commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Antonio Martusciello «la questione cruciale è quella dei contenuti di qualità, che dovranno essere più tutelati, perché la difesa del diritto d’autore determina la sopravvivenza stessa del contenuto di qualità, che sarà sempre più a pagamento. E anche la Rai deve difendere i contenuti di qualità nell’ambito del suo ruolo di servizio pubblico». Proprio sulla funzione di servizio pubblico, l’a.d. di Telecom Italia Media ha sottolineato come stia «spingendo La7 a farlo al posto della Rai». Pronta la risposta del vicedirettore generale della Rai Giancarlo Leone, che non ha mancato di rilevare come sia «arrivato il momento che il legislatore rifletta sul modello di finanziamento della Rai per poter rilanciare il servizio pubblico».
E la nascita del terzo polo televisivo? Stella neanche lo cita, per ragioni scaramantiche, però pone la necessità di ripensare completamente le regole del gioco: «La tv a pagamento, il digitale terrestre siano mercati a sé. Oggi è diffi cile affermare che esistono pari opportunità per tutti per poter operare. E c‘è l’Auditel da ripensare così come il mercato pubblicitario dovrebbe essere diverso. Nell’attuale mercato televisivo, La7 è come un giocatore a bordo campo che non riceve palla. In queste condizioni è difficile se non impossibile che possa fare gol».
A essere convinto che il beauty contest sia «il sistema migliore per garantire il pluralismo», è Martusciello. «Se si fosse scelto il sistema ad asta è probabile che le aziende più forti già presenti sul mercato sarebbero state avvantaggiate». Per Ambrogetti, invece, parlare di terzo polo «è una prospettiva finta e inesistente. I duopolisti (Rai e Mediaset, ndr) che esistono oggi, sono destinati a non essere più tali. Il successo del digitale? È testimoniato più di ogni altra cosa dai 17 nuovi editori che sono entrati nel mercato e che prima non trasmettevano».
Insomma, dico io, ogni volta che si riuniscono i reggenti della tv italiana si capisce subito in che direzione conduce il mercato tv: dal controllo dei contenuti sul Web, che sarà rafforzato a breve dalla delibera Agcom sul Copyright, fino alla fasulla apertura alla concorrenza del beauty contest, che, al contrario di quanto dichiari il commissario Agcom, darà linfa al dominio televisivo di Mediaset e Rai, sono tutti d’accordo per mantenere l’attuale sbilanciato status quo. Intanto ci pensa Mediaset, la parte più rilevante del duopolio televisivo italiano, a fare piazza pulita della concorrenza “illegale” presente su Internet a colpi di sentenze sulle violazioni del Copyright dei suoi contenuti. Prima YouTube e Google, poi Italia On Line, ed ora Yahoo! sono state condannate da un tribunale italiano su denuncia del Biscione, che sornione sta creando una serie di precedenti che fanno giurisprudenza. Ma l’azione censoria e a tutela dei diritti dei contenuti d’azienda può causare effetti collaterali che rischiano di minare la libertà di espressione nella Rete. Lo dimostra, tra i tanti, il caso più eclatante dei video dell’Unione Nazionale Consumatori oscurati da YouTube sempre su pressione dell’azienda di Cologno.
Fonte : Italia Oggi