Una politica che, in controtendenza rispetto al maggior concorrente Mediaset (che raccoglie il 60% del mercato pubblicitario tv), considera il costante calo della qualità del target che ha determinato il ritocco di gran parte dei listini di Rai Pubblicità.
Ad esempio, se nel periodo gennaio-febbraio 2014 la tv pubblica poteva vendere uno spazio a circa 69 mila euro all’interno di un talk politico, oggi, nello stesso periodo del 2015, si deve accontentare di soli 39 mila euro. Un pesante -43% di ricavi per Viale Mazzini, nonostante l’argomento di interesse nazionale sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Il deciso taglio dei costi degli spazi pubblicitari coinvolge anche altri format di successo del servizio pubblico tv: ad esempio gli spot di Chi l’ha visto (programma di punta di Rai 3) subiscono una riduzione del 35% (34-38 mila euro a spazio), scrive Claudio Plazzotta su ItaliaOggi. E anche gli spot dell’ammiraglia e campione di ascolti Rai 1, nell’access prime time tra gennaio e marzo subiscono un calo del 33% rispetto allo scorso anno (53-57 mila euro a spot). Mentre Rai 2 subisce un taglio del 38-40% nella medesima fascia tv (23-26 mila euro a spot).
Dalle parti del Biscione invece vola l’ottimismo con nuovo listino prezzi ritoccato verso l’alto (+2%) per i primi tre mesi del 2015. La concessionaria storica di Mediaset, Publitalia, si può permettere la vendita degli spazi del reality L’Isola dei famosi tra i 90 e 100 mila euro a spot, e per il programma di Maria De Filippi C’è posta per te ci si attesta a 88 mila euro (+2%) in febbraio e a 91 mila euro (+8%) in marzo. In calo invece i costi della pubblicità di Tg5 delle 20 (-8% 82-85 mila euro), Colorado su Italia 1 (-8% e -11% 38 mila euro), e le Iene (-3% a quota 47 mila euro per spot), e infine Striscia la notizia (-6,5% con 73 mila euro a spot).
Il ribasso dei prezzi dei listini della Rai concomitante con la crescita di quelli Mediaset, nonostante i dati di share favorevoli alla tv pubblica, destano comunque i soliti sospetti di conflitto, di distorsione del mercato e di accordi (poco) segreti tra l’operato delle concessionarie pubblicitarie dominanti.
Fonte: ItaliaOggi