Alla fine è andata. Il governo Monti ha sospenso per 90 giorni il concorso di bellezza del digitale terrestre, che dovrebbe assegnare gratuitamente le frequenze tv nazionali ai soliti incumbent della televisione italiana, cioè Rai, Mediaset e TI Media.
Nel Consiglio dei ministri di ieri il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha illustrato il decreto, firmato dal direttore generale del ministero, Francesco Saverio Leone, che è stato inviato in serata a tutti i partecipanti alla procedura, che hanno ora sessanta giorni di tempo per inoltrare le proprie osservazioni. Quasi tutti gli operatori tv sono però pronti a richiedere risarcimenti allo Stato per gli impegni economici, in termini di deposito cauzionale (35 milioni complessivi) e di percentuale (10%) sugli investimenti previsti per la realizzazione della rete, richiesti dal bando di gara per essere ammessi alla selezione e vedersi assegnare il relativo lotto di frequenze.
Come era prevedibile, Mediaset, il gruppo televisivo di Silvio Berlusconi, è pronto a sguinzagliare il suo esercito di avvocati per mettere in moto ricorsi e contestazioni sul provvedimento. In una nota diffusa nella serata di ieri il Biscione ha attaccato le decisioni del governo: «Al di là delle mistificazioni circolate, il beauty contest è assolutamente legittimo. L’iter che ne ha guidato la realizzazione è stato asseverato passo per passo, fin nelle più dettagliate previsioni, da Agcom, Ministero dello Sviluppo Economico e Commissione Europea. Si tratta di una procedura equa, trasparente e non discriminatoria in grado di mettere la parola fine all’annosa querelle aperta in materia dalla UE contro l’Italia».
«Che l’assegnazione fosse attuata senza asta a rilanci, ma sulla base di parametri comunque economici come gli investimenti effettuati e previsti, la solidità del progetto industriale e le capacità professionali dimostrate, è stato condiviso ufficialmente dalla Commissione Europea e la stessa Commissione ha concordato il diritto degli operatori integrati a partecipare all’assegnazione con limiti e obblighi cogenti. E’ questa la lampante dimostrazione che il beauty contest non regala niente a nessuno, tanto meno agli operatori integrati come Mediaset che nel passaggio dall’analogico al digitale sono stati già penalizzati con la perdita di un multiplex ciascuno. In più, Mediaset ha sempre acquisito sul mercato, pagandole, le frequenze in uso e ogni anno versa allo Stato un cospicuo canone di concessione calcolato in percentuale sul proprio fatturato».
«Quando lo Stato avvia ufficialmente una procedura pubblica di assegnazione di un bene, prende un impegno preciso con chi vi aderisce sostenendo investimenti. E tutti noi operatori riconosciuti idonei all’assegnazione – pubblici, privati, nazionali o locali – abbiamo a nostra volta preso impegni e abbiamo il diritto di pretendere che lo Stato mantenga i propri. Mediaset confida quindi che il Ministero e il Governo restituiranno certezza al diritto. E in attesa di conoscere i contenuti del provvedimento, si riserva di valutare le azioni necessarie alla tutela degli interessi di una società quotata».
Al di là delle considerazioni a dir poco sibilline dell’azienda di Cologno Monzese, quest’ultima non spiega assolutamente, ad esempio, che la gara dovrebbe aprire il mercato televisivo mentre invece assegna ulteriori risorse frequenziali al duopolio Rai-Mediaset; non chiarifica, ad esempio, che il canone di concessione è solo l’uno per cento del suo ingente fatturato annuo; e infine non fa luce, ad esempio, sulla scandalosa assegnazione gratuita delle innumerevoli frequenze digitali predisposta ad hoc da quella stessa legge Gasparri del 2004 che ora è causa della procedura di infrazione dell’UE. Salate sanzioni che teoricamente dovrebbero essere annullate dal concorso di bellezza in questione.
Il decreto direttoriale che sospende le procedure della gara si basa su alcune motivazioni fondanti. La prima sono gli ordini del giorno approvati dalla Camera, in cui si richiede un adeguato approfondimento sulla procedura del concorso di bellezza. La seconda è la pendenza di ricorsi giurisdizionali contro l’attuale procedura, presentati da Rai e da Telecom Italia Media, oltre che da Sky, decaduto con il ritiro della società dal beauty contest e da Tivuitalia, che non è poi stata ammessa alla procedura per carenza di requisiti sugli impegni fideiussori richiesti. La nuova circostanza di fatto del ritiro di taluni dei partecipanti, Sky appunto, viene addotta come ulteriore motivazione per un adeguato e urgente approfondimento rispetto alla procedura sospesa. Il decreto introduce la necessità di valorizzare un patrimonio pubblico come le frequenze in un contesto “particolarmente critico” delle finanze pubbliche.
La sospensione del Beauty Contest però non risolve praticamente un bel nulla. Rimane aperta la questione della nuova formula da adottare per assegnare le frequenze, e soprattutto si dovrà attendere l’ok dalla Commissione europea, che ha obbligato lo Stato italiano a indire la gara per aprire appunto alla concorrenza il mercato tv. E si dovrà stabilire poi come valorizzare questa risorsa pubblica, che nessun operatore tv integrato della penisola (nel senso che produce e trasmette contenuti da editore ma è anche proprietario della rete di distribuzione dei segnali tv) ha intenzione di acquistare al prezzo di mercato.
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