Il 6 agosto del 1991 Tim Berners-Lee inviò il primo messaggio al newsgroup alt.hypertext («A short summary of the World Wide Web project») per far conoscere la sua creatura, il World Wide Web (nato nel 1989), al resto del mondo. Da allora tutto è cambiato nell’universo di Internet. La Rete delle reti con l’introduzione degli standard HTML, HTTP, URL, si è trasformata nel più grande mezzo (o più mezzi) di comunicazione di massa (o di costruzione di massa dalla versione 2.0); in una piattaforma pubblica crossmediale emergente, più accessibile e usabile, più vicina alle persone, «su cui costruire qualcosa». Uno straordinario sistema ipertestuale, libero, aperto, gratuito, che ha cambiato la capacità di condividere le conoscenze, che ha regalato il diritto di innovare e ha modificato l’economia del mondo.
Oggi Sir Berners-Lee ha 56 anni, vive e insegna al MIT di Boston, è considerato fra i cento personaggi più importanti del 900, e continua la sua sfida lavorando per la creazione del Web Semantico, e attraverso la sua nuova fondazione WebFoundation.org combatte il divario digitale. «Ogni volta che viene rilasciata un’applicazione o un programma sul Web – afferma Berners-Lee in occasione dell’evento “Happy Birthday Web” – il gap tra chi può sfruttare queste risorse e chi non può si allarga».
«Prima di tutto penso che l’ubiquità della Rete sia più importante della velocità. – risponde Berners-Lee intervistato da Ricccardo Luna sullo stato del divario digitale italiano – La velocità è importante se vuoi vedere un video in alta definizione; ma l’ubiquità, anche con connessioni più lente, significa che puoi ricevere e spedire la posta e far parte dell’economia digitale. E poi: dando una banda larga minima a tutti si possono spostare i pagamenti pubblici online risparmiando un sacco di soldi. Insomma, penso che dovreste fare un grosso sforzo per colmare il divario digitale, per portare la Rete anche nelle aree rurali e in quei luoghi dove c’è gente che semplicemente non ha ancora imparato ad usare questa tecnologia. Questo significa anche creare luoghi pubblici dove tutti possono usufruire della Rete: immagino Internet-Point nelle piccole città e nei paesini dove andare per pagare il bollo dell’auto online, o cercare un lavoro, ritrovare i parenti che si sono persi di vista da tempo, mettere in vendita la macchina, insomma fare quelle cose che la gente ancora non sa fare online».
Ma l’Italia, fa notare Luna, sembra avere fatto scelte opposte: cioè portare la banda ultralarga nelle grandi città e nei distretti industriali, lasciando indietro le zone prive di connessioni alla Rete. «Si deve aumentare quel 51% di popolazione che può accedere a Internet in Italia. Bisogna fare in modo che tutti si colleghino al Web. Non è solo una questione di altruismo, il punto è come rendere il Paese più operativo e funzionale. Si tratta di capire se un Paese è serio oppure no. È un Paese serio quello in cui non si riescono a raggiungere contemporaneamente tutte le persone, e la gente non è informata tempestivamente su quello che succede, e non è in grado di rispondere alle emergenze? No, non è un Paese dove investire. Un governo digitale è molto più efficiente di un governo basato sulla carta, perciò prima il Paese abbatte il digital divide e meglio è. Ma l’Open government vuol dire arrivare a coinvolgere i cittadini per ottenere un feedback e magari una consulenza spontanea. È molto di più. Poi, c’è tutta la questione degli Open Data...»
«C’è un vero abisso di opportunità tra coloro che hanno Internet e utilizzano il Web in modo efficace, e tutti gli altri. – conclude Berners-Lee -. Questo è il problema reale. Di fatto, il collegamento alla Rete sta diventando così importante per l’umanità che ormai potremmo pensare all’accesso ad Internet come a un diritto universale. Un diritto che deve associarsi con il diritto alla privacy (di non essere spiati), con il diritto alla neutralità della rete (il diritto di non essere bloccato sull’accesso di contenuti), e con il diritto dell’accesso ai dati. Il Nobel per la pace Liu Xiaobo ha definito Internet un dono di dio; bello, ma io preferisco parlarne come di un diritto dell’uomo».
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