Asta Frequenze, la patata bollente del governissimo

Manca davvero poco tempo per concludere in modo positivo la tribolata asta per le frequenze televisive.

L’ex governo Monti attraverso l’operato “tecnico” dell’ex ministro allo sviluppo Passera è riuscito a trasformare il famigerato Beauty Contest (che regalava i canali a Rai e Mediaset) in una gara vera e onerosa per i soli (o quasi) nuovi entranti del mercato tv, riservando una parte delle risorse frequenziali (3 lotti) per una futura asta per la banda larga mobile delle compagnie telefoniche.

Ma il tempo stringe, soprattutto per evitare le pesanti sanzioni derivanti dalla procedura di infrazione alla concorrenza aperta dalla Commissione europea nel 2006 a seguito della legge Gasparri sul sistema televisivo.

Dopo il varo del regolamento da parte della nuova Agcom, a breve il Ministero dello sviluppo dovrebbe approvare il bando e il disciplinare. Ma rimangono molti dubbi sull’effettiva rendita per lo Stato di un’asta che offre gli scarti dello spettro elettromagnetico nazionale e che rischia di essere snobbata dai famosi nuovi operatori tv. E permangono inoltre le critiche della Commissione europea sull’effettiva qualità delle frequenze messe in palio dal governo e sulla conseguente apertura del mercato chiuso ancora dal duopolio Rai-Mediaset. Secondo Marco Mele de Il Sole 24 Ore, l’attuale crisi della pubblicità e dei consumi interni, e il calo degli abbonamento alle pay-tv (circa un milione persi nel 2012) non incentiveranno alla partecipazione gli operatori nazionali ed esteri.

Ma c’è chi già pensa alla vera e futura gara per le risorse per la banda larga mobile, verosimilmente fattibile dopo il 2016. Un’asta che, come quella che nel 2011 assegnò le frequenze per la tecnolgia di trasporto dati mobili LTE, potrebbe portare alla casse dello Stato miliardi di euro. La Commissione europea si appresta a pubblicare a giugno un documento che inviterà tutti i Paesi membri ad armonizzare lo spettro (evitando le grosse differenze di assegnazione ora presenti e il generale disordine delle frequenze). L’obiettivo è accelerare il passaggio di frequenze 700 MHz dalle tv a Internet mobile, già dal 2015, come già avvenuto con gli 800 MHz ora utilizzati per il 4G.

Ma, secondo l’analisi di Alessandro Longo dalle pagine di chefuturo.it, la nascita del governissimo di Letta, dove il ruolo del Pdl è eufemisticamente più importante rispetto a quello precedente, rischia di pregiudicare la gara per le frequenze televisive e di conseguenza anche l’asta per la banda larga mobile. Non è un caso che il Popolo delle Libertà (di Berlusconi) abbia lottato per mettere le mani sulle deleghe per le comunicazioni.

Ma da qui al 2015 potrebbe succedere di tutto: è già stabilito che agli operatori mobili andranno i canali 57-60 UHF, cioè 30 MHz, delle frequenze 700 MHz; in più bisognerà trovare spazio per la sfortunata radio digitale, avviare un primo serio coordinamento internazionale sulle frequenze, e partecipare ai tavoli che decidono, in Europa, l’evoluzione tecnologica dell’LTE.

«Siamo in ritardo su tutti i fronti», afferma Antonio Sassano, massimo esperto di spettro radio in Italia, professore di Ricerca Operativa all’Università La Sapienza di Roma. «Siamo assenti al tavolo ITU di Ginevra, dove tra l’altro viene decisa la futura canalizzazione europea per la banda larga mobile e dove l’Italia deve allearsi con i Paesi vicini per liberare i canali 57-60 UHF». «Abbiamo un quadro televisivo sui generis in Europa, per il grande numero di emittenti. Per questo motivo, l’Italia deve mirare a ottenere 14 frequenze da questi tavoli internazionali. Ma se continua a disertarli, rischia di subire dall’ITU l’imposizione a ridurre di molto le frequenze utilizzabili da noi», afferma il prof Sassano.

Le frequenze sono un bene pubblico, afferma Longo, che deve rispettare un ecosistema internazionale: i segnali radio infatti viaggiano da un Paese all’altro, sono bloccati solo dalle montagne. E i tavoli servono a evitare interferenze che purtroppo il precedente governo Berlusconi ha causato con i Paesi vicini per aver trascurato il coordinamento internazionale. Le nostre emittenti radio televisive ostacolano le trasmissioni in Francia, Malta, Croazia e Slovenia, che quindi hanno avviato un contezioso con l’Italia.

Adesso l’Italia deve lavorare al massimo per recuperare la credibilità perduta, ma non ha ancora cominciato a farlo. Le conviene perché in ballo c’è soprattutto la possibilità di sviluppo di internet mobile, verso l’LTE Advanced da 1 GHz.

Il Paese dei Cachi ha da perdere più degli altri, su questo fronte, se non otterrà le frequenze necessarie. Perchè inItalia il mercato Adsl (banda larga fisso) è fermo, ormai, pur avendo conquistato solo una minor parte delle case italiane. E  le speranze di abbattere il digital divide e di incrementare la crescita digitale sono riposte solo nell’Internet mobile, che ora riguarda oltre 31-32 milioni di sim, contro i 27 milioni del 2011. I prezzi dell’Internet mobile sono calati in modo straordinario, in Italia, nell’ultimo anno. Aumentano gli utenti e le velocità raggiungibili.

Un circolo virtuoso rischia di spezzarsi se l’Italia continua a gestire malamente la questione frequenze. E andrà anche peggio se di nuovo la politica anteporrà gli interessi televisivi a quelli dello sviluppo e dell’innovazione.

Fonte: ilsole24ore.com | chefuturo.it

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