Per la prima volta, il prossimo 9 febbraio ci sarà una riunione interministeriale per discutere sul tema della banda larga in Italia. Il governo con le misure del decreto Semplificazioni punta a informatizzare una volta per tutte la PA e a colmare il digital divide, fornendo finalmente il Paese di quelle autostrade telematiche essenziali per lo sviluppo di una vera economia digitale.
Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale, ha sottolineato che finalmente l’Agenda Digitale è stata annoverata tra le priorità dell’esecutivo. «Il governo Monti si è dato giusti obiettivi di rigore. Ma ha commesso un errore nel non porre l’innovazione tecnologica al centro della sua azione per la crescita. Noi proponiamo un programma per l’Italia digitale, finalizzato allo sviluppo e all’occupazione. Chiediamo al governo di fissare un obiettivo parallelo a quello della riduzione del deficit pubblico, secondo lo stesso calendario: allineare l’Italia all’Agenda Digitale europea, che prevede di portare la banda larga di base (ovvero due megabit al secondo) a tutti i cittadini entro la fine del 2013».
Ma se da una parte l’ex numero uno di Fastweb critica il governo, dall’altra gli propone una specie di «partnership» per raggiungere obiettivi di interesse comune: per esempio la lotta all’evasione fiscale, incrociando le informazioni di banche dati oggi non connesse tra loro, e lo stimolo alla crescita di nuove imprese giovanili, mediante un rilancio del venture capital.
Troppe volte, anche in questo blog, è stata descritto l’assurdo livello del divario digitale del Paese che lo colloca agli ultimi posti dell’UE, ad esempio, nella classifica del Boston Consulting Group per penetrazione e uso di Internet. Un problema di arretratezza sull’innovazione tecnologica e culturale che in parte, secondo Parisi, è anche colpa delle aziende. Nel commercio elettronico, ad esempio, negli ultimi 12 mesi solo il 16% degli italiani ha acquistato almeno una volta su Internet contro una media europea del 43% (e l’83% del Regno Unito). Colpa della domanda, certo, ma anche dell’offerta, visto che solo quattro su cento imprese sopra i dieci addetti realizzano almeno l’1% del fatturato dalle vendite online contro il 23% della Germania. Forse anche per questo, malgrado il potere lobbistico, il fascino tecnologico e il peso specifico che rappresenta —115 mila imprese, 670 mila addetti, un terzo dei quali laureati, 120 miliardi di fatturato — l’industria dell’ICT non è mai riuscita ad affermare la priorità dell’innovazione nell’agenda di nessun governo, da Prodi a Berlusconi, Mario Monti compreso.
«Noi proponiamo un grande switch-off dal cartaceo al digitale nella pubblica amministrazione. Come si è fatto in campo televisivo con il superamento dell’analogico. Anagrafe, ricette mediche, pagelle scolastiche, tutto dev’essere realizzato online. Entro un calendario stringente, con tempi, date e priorità, Internet diventi la regola e la carta resti l’eccezione». La misura contenuta nel decreto del governo, che rende obbligatorio il trasferimento telematico di informazioni da «palazzo» a «palazzo», secondo le imprese dell’hi-tech non è sufficiente. La vera innovazione, dice Parisi, è «rendere interoperabili, cioè reciprocamente aperte e collegate, tutte le banche dati delle varie amministrazioni pubbliche». La tessera sanitaria di un cittadino lombardo deve valere anche in Lazio e viceversa. In alcuni Paesi questi muri sono stati abbattuti da un pezzo, in Italia no: solo nella pubblica amministrazione centrale, ci sono la bellezza di 250 centri elaborazione dati che, tranne pochi casi, non si parlano. «Le resistenze arrivano dall’alta burocrazia—dice Parisi — che vede con sospetto la condivisione dei patrimoni informatici perché teme di subirne una perdita netta di potere. Anche su questo fronte, dal governo Monti ci aspettiamo un’azione più energica».
Un secondo, importante dossier riguarda le infrastrutture. Parisi sostiene che per superare il digital divide italiano nella banda ultralarga non occorre cablare il Paese: la clientela privata, anche nei luoghi remoti, può essere connessa con la banda larga mobile di quarta generazione (l’LTE obiettivo dell’asta frequenze da 4 miliardi); mentre la fibra ottica sarà usata, oltre che nei centri urbani, per raggiungere le 300 mila aziende oggi in divario digitale. L’annosa questione della costruzione di una rete italiana in fibra ottica ha portato spesso e volentieri allo scontro gli operatori delle tlc, gli enti parastatali e i governi, ed è sempre stata rallentata, se non bloccata, dell’ex monopolista Telecom Italia, che possiede la vecchia rete in rame. Ma lo sviluppo di un’infrastruttura ultrabroadband, con sostanziosi contributi pubblici, in grado di fornire Internet superveloce anche al consumatore, potrebbe essere il punto d’origine per un salto di qualità della nascente economia digitale italiana.
Fonte: Il Corriere della Sera