Il varo è atteso già a settembre, ma la sfida per modernizzare il Paese deve affrontare ostacoli palesi e nascosti. Telecom e il nodo della proprietà della Rete ancora irrisolto.
«Un primo intervento, del valore di 3 miliardi di euro, volto a migliorare drasticamente l’infrastruttura digitale italiana. Ma sarà solo il primo passo perché a seguire verranno lanciati altri progetti di portata persino superiore». Il ministro Corrado Passera, è ormai acclarato, ama mettere la faccia su qualche cosa di importante. Lo ha fatto con il decreto Sviluppo, rischiando di perderla fino alla sofferta approvazione, e adesso è pronto a ripetersi per un altro provvedimento, l’Agenda Digitale, il cui varo è previsto già a settembre.
A dispetto del nome, che non ha il pregio dell’immediata comprensione popolare, stiamo parlando di qualcosa di essenziale per il futuro del nostro Paese, ma che non per questo è scontato diventi una priorità della politica, ed anzi, ammesso che il varo avvenga effettivamente all’inizio dell’autunno, potrebbe incontrare ostacoli palesi e nascosti nella sua attuazione.
L’Agenda Digitale è quel complesso di interventi volti a mettere l’Italia al passo con le gradi economie del pianeta in fatto di banda larga, infrastrutture digitali, e-commerce, e-government, alfabetizzazione informatica. Un Piano di sviluppo che potrebbe permettere a tutti i cittadini di beneficiare delle enormi agevolazioni nella vita quotidiana permesse dalla diffusione capillare di Internet. Non a caso lo stesso Passera ha più volte affermato che a godere dei frutti dell’Agenda Digitale non sarà soltanto l’economia italiana nel suo complesso, a partire dalle aziende e dall’apparato dello Stato, ma anche e soprattutto i cittadini che potranno beneficiare di un accesso più veloce ed efficace ai servizi pubblici, al sistema sanitario ed alla pubblica amministrazione.
Fin qui tutto bello e più che condivisibile, anche da parte di coloro che sono rimasti fin qui estranei alla rivoluzione digitale. Ma analizzando più nel dettaglio gli ambiti operativi dell’Agenda Digitale ci si rende conto dei potenziali e non trascurabili ostacoli. In una recente intervista radiofonica il ministro Passera ha identificato una prima serie di obiettivi da raggiungere: sviluppo della banda larga su tutto il territorio nazionale, conseguente riduzione del cosiddetto “digital divide“, diffusione del “cloud computing” con lo spostamento direttamente dentro la Rete di una serie di dati e attività che prima risiedevano all’interno di server e computer, creazione di città intelligenti (smart cities).
Obiettivi molto ambiziosi, se nonché il loro efficace conseguimento passa inevitabilmente dalla primaria realizzazione del primo, ovvero la diffusione della banda larga. Senza la creazione di autostrade digitali dove far passare dati, immagini, suoni e filmati, per portarli dentro le case, gli uffici, i luoghi di svago, non si va lontano. Al riguardo, già entro il 2013 il governo conta di raggiungere con collegamenti veloci di Rete tutte quelle aree che ne sono rimaste fin qui escluse, il tutto attraverso fondi già stanziati sia per il Settentrione che per il Centro e il Meridione, quest’ ultimo in condizioni d’arretratezza anche sotto il profilo digitale.
Ai problemi che tutto ciò comporta in fatto di investimenti e complessi lavori infrastrutturali, in Italia se ne somma uno peculiare e da lungo tempo irrisolto. Si tratta della rete fisica di telecomunicazione che tuttora fa capo all’ex monopolista Telecom nonostante si parli da anni della necessità di uno scorporo. Il perché è abbastanza evidente: a parte l’anomalia di affidare ad un’azienda privata un compito di enorme rilevanza pubblica come la diffusione della banda larga, Telecom non dispone delle risorse economiche per svolgere un’attività del genere, anche a causa dell’enorme debito interno accumulato negli anni Novanta in seguito alle battaglie per assicurarsi il suo controllo.
Ma mentre cercherà di superare lo scoglio della Rete, il governo rischia di andare a sbattere contro un altro ostacolo, meno evidente ma altrettanto pericoloso: il conflitto d’interesse. Banda larga significa, fra le altre cose, poter fruire con velocità e qualità di servizi d’intrattenimento che prima viaggiavano fuori da Internet, in primis la tv. Una grande opportunità per i cittadini, sicuramente una minaccia per chi ha costruito un impero sulla fruizione televisiva tradizionale, quella Mediaset che già sta scontando non pochi problemi per il passaggio dall’analogico al digitale terrestre. Gran brutta storia, se la convenienza di pochi dovesse ancora una volta prevalere sull’interesse di tutti.
Fonte: L’Unità