L‘Italia è un paese nemico di Internet. Ancora una volta. E la classe politica italiana, che ha cercato innumerevoli volte di mettere in piedi dei regolamenti per controllare e censurare la Rete, ci riprova. Dalle varie proposte di legge Bavaglio, sino ai famosi DDL intercettazioni, dal decreto Romani alle assurde proposte della Carlucci, fino al famigerato decreto Pisanu anti Wi-fi (abolito, meno male, lo scorso anno), il Bel Paese si è sempre distinto nel mondo nell’ardita attività del proporre norme di controllo degne delle peggiori dittature. Tutto o quasi in nome della tutela del diritto d’autore online.
Ora, mentre negli Stati Uniti si combatte una guerra senza esclusioni di colpi per tutelare la libertà di espressione nella grande Rete contro leggi come il SOPA e il PIPA, da noi spunta il Fava. La nuova minaccia per il Web arriva dal parlamentare della Lega Nord Gianni Fava, che è riuscito a fare approvare dalla Commissione Politiche Comunitarie una proposta d’emendamento al Decreto Legislativo 70/2003 per introdurre una nuova forma di responsabilità a carico dei cosiddetti hosting provider.
Il provvedimento mira a obbligare gli ISP a rimuovere determinati contenuti online sulla base delle sole richieste inviate “dai titolari dei diritti violati dall’attività o dall’informazione”. Non solo. Gli stessi hosting provider avrebbero l’obbligo di monitoraggio preventivo di attività o contenuti potenzialmente illeciti, a seconda delle segnalazioni, e si ritroverebbero a dover rimuovere i contenuti illeciti non soltanto su segnalazione delle autorità competenti, ma anche di qualsiasi detentore dei diritti, ovvero un qualsiasi soggetto privato portatore di interessi. Come se non bastasse, secondo l’emendamento Fava, i fornitori di servizi online che mettono a disposizione strumenti di promozione di attività ritenute, in seguito, illecite, rispondono di una sorta di “concorso di colpa”. Google, Bing, Yahoo, che forniscono spazio per gli inserzionisti, YouTube e Facebook, che promuovono contenuti sulle proprie piattaforme, avrebbero una sorta responsabilità sulla liceità dei prodotti e delle attività promosse. In parole povere, dal Parlamento italiano arriva l’ennesima proposta di assassinio doloso del Web, della libertà di espressione in Rete e del mercato digitale in nome del solito Copyright.
L’avvocato Guido Scorza, esperto di diritto di Internet, spiega: «Si sta, per un verso, ipotizzando di privatizzare la giustizia consentendo a chiunque di ottenere la rimozione di un contenuto dallo spazio pubblico telematico senza neppure passare da un giudice, semplicemente minacciando un fornitore di hosting di un’eventuale azione di responsabilità. Per altro verso, si sta subdolamente cercando di porre a carico dei fornitori di hosting un obbligo di sorveglianza in relazione ai contenuti pubblicati dagli utenti – ha continuato l’avvocato – trasformandoli in sceriffi della Rete, ruolo che non gli compete e che, come ormai universalmente accettato in ambito europeo, è bene non abbiano».
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