Copyright: il SOPA perde pezzi, ma c’è il trucco. E arriva il grande sciopero del Web

Il Sopa perde pezzi. Anche Sony Electronic, Nintendo, e la celebre casa di videogiochi Electronic Arts hanno ritirato il proprio sostegno allo Stop Online Piracy Act, la legge in discussione al Congresso Usa, che dovrebbe servire ad arginare il fenomeno dei download illegali ma che, a parere di molti addetti ai lavori, per come è stata concepita, rappresenterebbe invece uno strumento di controllo di Internet e una minaccia alla libertà di espressione e navigazione sul Web. La legge americana, che sarà discussa il 24 gennaio, infatti darebbe via libera ai titolari di copyright online di agire direttamente contro coloro che sfruttano i contenuti protetti, e potrebbe potenzialmante dare gli strumenti per censurare e oscurare articoli, immagini scomode e altro sulla Rete.

A favore della controversa legge si sono schierati Hollywood, l’industria discografica, la Camera di commercio e il potente sindacato Afl-Cio, oltre a editori come Macmillan Us e politici democratici come Mike McCurry, ex portavoce di Bill Clinton. Le tre società sparite, senza tanto clamore, dalla lista ufficiale dei supporter del provvedimento, hanno imitato le gesta del provider GoDaddy, costretto poche settimane fa a cambiare rotta dopo che molti suoi clienti avevano minacciato di disdire i contratti per il suo appoggio al Sopa. Per quanto riguarda Sony, non è chiaro se la decisione sia stata influenzata dalle minacce ricevute nei giorni scorsi da parte di Anonymous: il collettivo di hacker ha minacciato di far collassare nuovamente il network online dell’azienda, per rappresaglia alla politica “liberticida” della stessa.

Ma il popolo del Web, come al solito, ha svelato il trucco. Pur non essendo più presenti i loro nomi nella lista ufficiale, scrivono quelli di GameInformer ma non solo, la firma di Sony, EA e Nintendo figura, infatti, nella lettera che la Camera di Commercio americana ha inviato al Congresso, proprio per far sì che SOPA diventi realtà: un imbroglio bell’e buono, che farà sicuramente infuriare tutti coloro che hanno apprezzato il recente ripensamento.

Se il partito del sì sembra apparentemente in crisi, il fronte del no può contare su importanti sostenitori. Google, Facebook, Yahoo!, Twitter, Amazon, eBay e altre aziende Over The Top hanno ventilato in questi giorni un’iniziativa clamorosa: un momentaneo blackout di protesta dei loro siti (pare il 23 gennaio), simile a quello messo in atto da Wikipedia un paio di mesi fa contro alcuni progetti di legge del governo italiano. L’ennesimo segnale che i colossi di Internet non sono disposti a subire condizionamenti politici varati per proteggere gli interessi di alcune grandi associazioni di distributori di contenuti multimediali.

Nel frattempo, gli attivisti per le libertà digitali si stanno organizzando con una vera e propria mobilitazione contro la proposta del deputato repubblicano Lamar Smith: centomila utenti della piattaforma online Tumblr hanno telefonato ai loro rappresentanti nel Congresso americano, mentre più di un milione di cittadini hanno firmato la petizione online contro la legge, rilanciata anche dal sito Netcoalition.com. E’ partita anche un’iniziativa informatica per mettere a disposizione del pubblico una serie di tool che permetteranno di aggirare la censura, se il Sopa dovesse diventare legge. Come un add-on per il Firefox chiamato DeSopa che consentirà di visualizzare anche i siti bloccati, grazie a un piccolo espediente. Dato che la censura Usa sarà basata sul fornire degli indirizzi errati a chi cerca di raggiungere una certa meta sul Web, De Sopa attingerà a dei database stranieri per ripristinare gli indirizzi corretti. La censura, insomma, potrebbe essere sconfitta facilmente sul piano tecnico – uno dei padri di Internet, Vint Cerf, contrario alla legge, ha scritto una lettera al Congresso spiegando esattamente come – e il solo effetto tangibile, secondo Cerf e altri, sarebbe quello di rendere più farraginoso e difficile da proteggere l’intero meccanismo dell’assegnazione dei nomi di dominio su Internet. Col risultato di favorire i cyber criminali e non fermare la pirateria.

Fonti: lastampa.it | corriere.it | puntoinformatico.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.