Come si tutela il diritto d’autore nell’era digitale senza che questo si scontri con i diritti e le libertà degli utenti di Internet? Semplice: cambiando le forme del diritto d’autore e rendendole più flessibili, e aprendo il mercato dei contenuti digitali.
La tanto discussa delibera 668/2010 dell’Agcom, sottoposta a consultazione pubblica, prova invece a dare una risposta con mezzi repressivi decisamente sbagliati, perchè sbilanciata verso un sistema di tutela del copyright nato per proteggere i vecchi contenuti analogici (risorse scarse difficilmente riproducibili e copiabili) pensati e creati dall’industria mainstream degli old media (come ad esempio la televisione).
L’avvento di questa regolamentazione censoria dell’Agcom, nata dal famigerato decreto Romani del 2010 (il cui obbiettivo dichiarato era la protezione dei contenuti televisivi), potrebbe imporre la cancellazione dei contenuti incriminati di violazione del diritto d’autore senza passare al vaglio di un tribunale e di un giudice. Il varo della delibera previsto per il 6 luglio ha fatto partire in Rete un acceso dibattito, che coinvolge gli esperti di diritto di Internet e del Web, ma anche gli stessi membri dell’Authority, divisi sulle modalità di repressione della pirateria online. La discussione tocca soprattutto il tema della tutela delle libertà di espressione sul Web dei consumatori-utenti, che i regolamenti dell’Agcom sembrano non rispettare. Mentre l’industria discografica, come dichiarato dalla FIMI, spinge perchè si attuino misure di controllo sempre più forti e repressive.
Quale soluzione alternativa potrebbe essere adottata? Prima di tutto c’è da mettere in conto che il mercato di prodotti digitali in Italia è ancora carente. E per fare in modo che si sviluppi come in altri paesi europei è necessario puntare sulla diffusione della banda larga così come su un aggiornamento delle licenze che tutelano i contenuti. In occasione della relazione annuale dell’Autorità garante per le comunicazioni, lo stesso presidente Calabrò ha affermato che nei paesi dove la banda larga è più sviluppata come Olanda, Germania e Regno Unito, è minore la diffusione della pirateria online e continua a crescere il mercato un’offerta legale competitiva. Secondo il Rapporto Analysys Mason presentato recentemente da Asstel, l’Italia su rete fissa registra una penetrazione di Internet del 54% delle famiglie a fronte del 78% in Francia, del 72% in UK, del 65% in Germania. Il ritardo non è ascrivibile alle infrastrutture la cui copertura è del 91,6% (anche se la penetrazione della banda larga è sotto la media europea), ma piuttosto a fattori di natura sociale e culturale: oltre il 40% degli italiani non ha mai usato un Pc, quando in Gran Bretagna solo il 10% ha una scarsa alfabetizzazione informatica. La scarsa diffusione delle applicazioni e dei servizi Internet nel nostro paese è causa di una flessione del mercato ICT, anche se continuano a crescere i contenuti digitali in seguito alle nuove modilità di fruizione smart e on demand attraverso nuovi apparecchi.
«Finchè si affrontano questi problemi con le misure repressive – ha spiegato l’ex ministro ed europarlamentare del PD Luigi Berlinguer – nella contrapposizione tra chi reclama legittimamente il rispetto del proprio lavoro e chi reclama un largo accesso alla rete, non si risolve nulla. Di fatto, ci sono due beni in conflitto. Ma dobbiamo trovare una soluzione: il punto d’accordo è rappresentato dal fatto che l’accesso alla rete il più ampio possibile è nell’interesse di entrambi, di chi vuole sapere e di chi vuole consumare. Il vecchio modello del diritto d’autore, fondato sulla produzione prevalentemente cartacea, è stato superato dal Web». In questo contesto, la sfida di fronte alla quale si trovano i giuristi e gli uomini d’ingegno per Berlinguer «è quella di abbassare i prezzi e introdurre in questo modo la legalità con una ragionevolezza che la rende praticabile. Bisogna superare le barriere nazionali che ostacolano la circolazione dei beni». Per l’europarlamentare del PD la soluzione è «allargare legalmente le eccezioni ad una visione stretta del diritto d’autore e trovare una forma di pagamento che sia sostenibile».
Fulvio Sarzanza, avvocato esperto di nuovi media, ha dichiarato in un dibattito indetto dal Corriere delle Comunicazioni: «I dati diffusi da agenzie governative, come quella olandese, dicono che chi scarica è spesso il miglior acquirente dei beni nei circuiti legali, con una tendenza al consumo più elevata della media; i numeri dicono pure che nel 2010 si è registrato il record assoluto di incasso nelle sale cinematografiche. L’economia digitale italiana non soffre solo per un difetto di natura infrastrutturale ma anche normativo. Da noi il quadro legislativo non è al passo con i tempi: manca ad esempio una regola sul “fair use” che riconosca l’uso amatoriale di un contenuto come forma legale di utilizzo del contenuto stesso. Una modifica, questa, che potrebbe giustificare in parte anche modalità di enforcement più puntuali».
Anche Stefano Rodotà, giurista, politico e fautore di una proposta di legge per l’accesso universale a Internet, ribadisce che il metodo dell’Agcom non è fra i migliori: «è sbagliato pensare che si possa chiudere questa partita con una direttiva o peggio ancora con leggi o delibere repressive. L’esperienza di questi anni ci ha mostrato una dinamica che nessuno aveva previsto. Siamo in una fase molto aperta: almeno per il web -ha spiegato Rodotà- la conoscenza richiede la massima condivisione. Oramai non è più possibile ritenere che il vecchio diritto d’autore possa offrire delle norme valide ancora oggi».
Insomma le strategie censorie e repressive pensate dal governo italiano, che ha difficoltà solo a capire cosa sia Internet, e attuate dall’Autorità Garante, molto probabilmente non potranno essere efficaci nè come modello di sviluppo del mercato dei contenuti digitali, nè come strumento di tutela del diritto d’autore online. E’ nata l’esigenza di ripensare a una nuova disciplina del diritto d’autore che in Italia, ahimè, è regolata da una legge del 1941 (22 aprile 1941 n. 633) . In un epoca digitale dove il paradigma di sviluppo è la condivisione, ma anche la collaborazione e la cooperazione, non si possono certo limitare la creatività e la produzione culturale (grassroot o mianstream) con le licenze e i diritti delle anacronistiche norme del XX secolo.
Il diritto d’autore dovrebbe riconoscere il giusto compenso agli autori delle opere d’ingegno, cosa che troppo spesso la SIAE non sa contemplare, troppo impegnata a distribuire i ricavi alle major e a tassare ogni cosa con logiche restrittive irragionevoli. Ma oltre all’innegabile riconoscimento dell’opera all’autore, i contenuti digitali devono essere tutelati nel libero accesso, nella libera condivisione, motori della diffusione su scala globale dell’informazione culturale. Nuove forme di diritti e licenze, dai Creative Commons all’Open Content sino alle svariate forme di Copyleft, che possono favorire sia gli autori sia gli utenti in quel gioco infinito di produzione, riproduzione, remix e mash-up che avviene ogni giorno all’interno della grande Rete. Il mercato e le industrie produttrici dei contenuti, invece, si preoccupano quasi esclusivamente di proteggere con ogni mezzo i prodotti e di spargere una propaganda del terrore tra i consumatori. Potrebbero invece cercare di livellare i prezzi per aprire un mercato legale del downloading di artefatti digitali. Nuovi mercati, figli dello sharing creativo e illegale, in cui la libera circolazione delle informazioni e dei saperi condivisi può far nascere concretamente nuovi modelli economici ed opportunità di business.
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