In un periodo storico assai delicato per Internet, dove l’UE e il FCC americano tentano con molta difficoltà di regolamentare e di tutelare la neutralità della rete, in Italia si pensa ancora e solo a preservare i diritti del vetusto feudo televisivo a discapito dei nuovi canali e mezzi della Società dell’Informazione.
Le premesse indiscutibilmente anacronistiche e censorie del decreto Romani sul controllo di Internet hanno fatto temere il peggio per la sopravvivenza delle libertà di espressione nella Rete delle reti. Ma alla fine un primo passo positivo è stato fatto e la stretta burocratica sulle Web Tv è stata smussata dall’operato dell’Autorità di Garanzia per le comunicazioni. Spunta però una strana tassa sull’installazione di un qualsiasi nodo della rete e rimane ancora in bilico invece la regolamentazione sui contenuti coperti da copyright che viaggiano in Internet.
Dopo un acceso dibattito che ha visto ben due commissari Agcom (Nicola D’Angelo e Michele Lauria) votare contro le disposizioni per le Web Tv, che il decreto Romani cercava di parificare burocraticamente alle televisioni tradizionali, l’Autorità ha deciso di ridurre i controlli, e la responsabilità editoriale, l’obbligo di rettifica e la tenuta del registro dei programmi verranno applicati solo ai soggetti professionisti con ricavi superiori a 100mila euro annui. L’Agcom ha escluso anche i pagamenti di canoni annuali, ma le Web Tv dovranno versare un contributo una tantum di 500 euro per i servizi tv e di 250 euro per quelli radiofonici. Invece non ci sarà vincolo burocratico per gli altri soggetti operanti sulla rete.
Stefano Quintarelli (esperto di new media) denuncia però dal suo blog che i regolamenti Agcom ricadono nell’errata (e voluta) interprepazione di alcune direttive europee sulla liberalizzazione nei mercati delle apparecchiature terminali Tlc. Le disposizioni dell’Autorità infatti prevedono una sorta di cyber-tassa per l’installazione di un router, uno switch o un qualsiasi dispositivo connesso alla rete come nodo stesso di Internet, che dispone l’operato obbligatorio di un tecnico installatore iscritto all’albo. La norma burocratica concede l’installazione di un device collegato alla rete solamente ai tecnici autorizzati, sanziona i tragressori con una multa da 15.000 a 150.000 euro, e parifica questa operazione alla licenza di un radioamatore.
«Il dibattito sulle Web tv è stato gonfiato – afferma Stefano Mannoni, commissario Agcom – perché nessuno ha mai pensato di regolamentare blog e popolo della rete, i pesci piccoli insomma. Altra cosa invece è un operatore come YouTube, che non è un semplice aggregatore di video online ma esercita comunque un certo controllo editoriale, anche se attraverso il suo algoritmo, quindi in maniera automatica. Internet non può essere il Farwest, quindi il nostro provvedimento getta un primo seme e pone qualche paletto, prestando attenzione a non andare a toccare i micro-operatori».
Rimane aperto il nodo YouTube che l’attuale provvedimento sembra escludere dai controlli. Anche se Mannoni afferma «potrebbe essere vero il contrario: YouTube opera una gerarchizzazione dei contenuti, anche se attraverso il suo algoritmo, quindi in maniera automatica, e questo può essere considerato controllo editoriale». Interpretazione discutibile condivisa sicuramente dai grossi operatori del mercato tv come Mediaset che contro il servizio di condivisione video di proprietà di Google ha vinto pure una causa in tribunale.
La definizione del regolamento per la tutela dei contenuti coperti da copyright sul Web ha prodotto uno scontro ancora più acceso all’interno del consiglio dell’Autorità, che pone da una parte chi cerca di difendere le libertà di manifestazione del pensiero e dell’adozione di nuove forme aperte di tutela dei contenuti sul Web e dall’altra i sostenitori delle regole ferree e punitive sui diritti riservati, appoggiate dalle lobby dall’UE e sostenute con forza dalla SIAE e dalle associazioni degli editori musicali e cinematografici. Le divergenze quindi hanno fatto slittare le decisioni per ben due volte, prima fissate per il 9 dicembre, poi ulteriormente rinviate al 17 dicembre. Si teme che l’Agcom possa trasformarsi nel controllore del Web e di Internet, nell’esecutore materiale di una legge Hadopi tutta italiana, per applicare quel giro di vite contro la pirateria online richiesto a gran voce dall’industria dell’intrattenimento.
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